ARTICOLI RITROVATI

 

Nel maggio 1929, da Roma, parlando del proprio lavoro al “Tevere”, Francesco Lanza scriveva a Nino Savarese: “Faccio una vitaccia: ti dico solo che lavoro di notte alla... cronaca! Non pensavo mai di andare a finire così. Fortunatamente ne ho per poco: sostituisco un redattore che tornerà a metà giugno. Dopo, se non resterò al giornale, ma con un lavoro meno sfibrante e umiliante, tornerò ai patri Lari.” Il giornale pubblicava quotidianamente una pagina intitolata “Vita, morte e miracoli della Capitale” (un titolo cui forse non è estranea l’ascendenza siciliana del suo direttore Interlandi come quella di molti dei collaboratori quali Patti, Brancati, Aniante, Navarria, De Mattei e lo stesso Savarese) dedicata, appunto, alla cronaca cittadina. Lanza, per restare nel 1929, vi lavorò ininterrottamente del primo gennaio al 18 luglio scrivendo una sorta di pastone della nera che firmava “Il collega del signor Pott” poiché il redattore che sostituiva, che sembra che altri non fosse che Ercole Patti, usava lo pseudonimo de “Il signor Pott”. Questo pezzo, pubblicato il primo gennaio, ci fa entrare nei locali della redazione deserta di via della Mercede la notte di Capodanno:

Non sappiamo se quella notte, Francesco Lanza abbia davvero mandato a quel paese i doveri d’ufficio e le veline della questura o se invece non ci fossero fatti di cronaca rilevanti da pubblicare. Certo è che egli si lascia prendere la mano dal gusto della narrazione letteraria e della riflessione personale. Siamo lontani mille miglia dallo stile del cronista. La stessa cosa avviene due giorni dopo. Ecco cosa diventa l’avvistamento da parte di alcuni cacciatori di un paio di lupi nella zona di Tivoli:

Se può, non esita a pubblicare dei brani squisitamente letterari. È il caso, per esempio, del 9 gennaio quando riesce ad inserire (leggermente sfoltita, per ragioni di spazio, pensiamo) la storia cavelleresca “Luniella” che peraltro aveva già visto la luce circa un anno prima sull’ancora ennese “Lunario Siciliano”:

Nel numero del 12 gennaio, “Il Tevere” pubblica una lettera aperta, formalmente diretta ai membri del Comitato di redazione del “Lunario” (Lanza, Savarese ed Interlandi), scritta dall’intellettuale catanese Rodolfo De Mattei che nel numero di aprile dell’anno precedente era stato nominato Segretario di redazione della stessa rivista. E’ una pesante critica all’impostazione che il mensile si era data e alla scelta di spostarsi a Roma; una sorta di canto funebre cui Lanza risponde succintamente ma con affettuosa fermezza. Una polemica che aggiunge nuovi elementi a quanto, per es., riporta il Basile (vedi il suo saggio pubblicato nella rubrica “Critica su Lanza” di questo sito). Va precisato che, quando, nell’aprile 1929 il giornale, trasferitosi a Roma, riprenderà la pubblicazione, De Mattei continuerà, almeno nei primi due numeri, a collaborare.

Dell’attività “sfibrante e umiliante” del cronista è però fatto il lavoro quotidiano al “Tevere”. Come abbiamo visto, gli stilemi letterari non mancano, appena possibile, di prendere la mano dello scrittore. Si veda a cosa approda in questo pezzo del 21 gennaio un banale fatto di cronaca. Non fa difetto quella comicità che ha potuto fare frettolosamente parlare di “rubrica umoristica”.

Un altro caso di “riciclaggio” di articolo già pubblicato dal “Lunario” è quello di “Variazioni su Marzo” del 17 marzo (sul mensile ennese era apparso dodici mesi prima col titolo di “Marzo”). Contrariamente a “Luniella”, qui c’è un’aggiunta, quella del brano iniziale “Marzo pazzo”.

Concludiamo questa (molto incompleta) rassegna di articoli apparsi sul “Tevere” nel 1929, e mai successivamente ripubblicati, con questo pezzo del 9 ottobre - in cui lo humour surrealista si sposa con la cultura enologica - che fa seguito a un articolo firmato “Campanello” pubblicato qualche giorno prima.

 

(Rassegna a cura di Enzo Barnabà)